Friday, February 8, 2019

introduzione

Chiaramente questo libro, proprio come il Partito Radicale e molte delle conquiste politiche e culturali dell’Italia, non sarebbe stato possibile senza Marco Pannella. Per il quale non saranno mai sufficienti tutte le parole - e parolacce - che uno può immaginare per ringraziarlo come si deve.

Ho incontrato Pannella per la prima volta nel marzo 1994, al funerale del militante radicale fiorentino Andrea Tamburi trovato morto a Mosca in circostanze mai chiarite. La seconda, quella in cui finalmente ci parlammo, fu l’anno successivo durante la campagna per l'elezione del Sindaco di Firenze dove i radicali, assieme al Partito Popolare Italiano e Forza Italia sostenevano il sindaco uscente, il socialista Giorgio Morales. In mancanza di meglio, ero stato piazzato capolista della Lista Pannella.

Poco prima di salire sul mega-palco in Piazza della Repubblica (ricordo ancora com'ero vestito) Pannella salutò Vincenzo Donvito, il coordinatore dei radicali fiorentini, dicendogli “e questo chicazz'è?!”. Provate voi ad aprire un comizio di Pannella in generale, provate poi a farlo dopo aver udito di straforo questo scambio… Fortunatamente, non essendo timido, il comizio fu aperto sena intoppi e, grazie a Pannella, andò alla grande. Naturalmente non facemmo eletti.

Rividi Pannella qualche settimana dopo al funerale di Alex Langer alla Badia Fiesolana, ma non mi potei avvicinare per salutarlo perché la chiesa straripava e la sua orazione funebre era stata straziante.

Negli anni 2000 m’è capitato di accompagnare Pannella in missioni in Europa, Asia e Africa; dovunque e con chiunque fossimo era come se stessimo in una riunione di quelle in “saletta”, la situation room di via di Torre Argentina 76 dove tutti, anche l’ultimo arrivato, avevano la possibilità di dire la propria e trovare in Pannella un orecchio attento. Molto fumo, ma tanto tanto, ma anche molto arrosto.

Pannella parlava con tutti e, forse ancor di più, ascoltava tutti, riusciva a cogliere spunti anche nel commento di chi passava lì per caso. L’unica differenza tra le fumose riunioni romane e gli incontri in quelle missioni era che il tutto spesso avveniva in lingue che Pannella non parlava. Che fossero le udienze col Dalai Lama o le tre ore col premier cambogiano Hun Sen, passando per le decine di chiacchiere con militanti dei diritti umani tibetani, ceceni, uyguri, montagnards, hmong, khmer krom, sind, baluci, assiri, haredin, fino a meno esotici croati, albanesi o kosovari o qualche Lord britannico, mi sono trovato molto spesso a tradurre Pannella in inglese. Una volta, col Presiden dell’Open Society Institute Aryeh Neier, ci intrattenemmo per quasi due ore con Pannella che gli parlava il suo francese perché aveva saputo che la moglie del suo interlocutore era francese...

Difficile per alcuni da seguire in italiano, Pannella, quasi miracolosamente, era traducibilissimo nella lingua di Shakespeare. Bastava solo seguirlo attentissimamente con la stessa concentrazione che occorreva quando dettava lettere o comunicati stampa al telefono.

Agli interlocutori più sconosciuti Pannella non pareva mai un eccentrico o un folle, la sua fama di leader politico lo precedeva tanto a Washington quanto a Nouakchott, a Parigi come a Niamey, a Londra come a Tirana. Era - e resterà - la fama di qualcuno che viveva di e per la politica, spesso nutrendosi di null’altro che non fosse la speranza che col suo esempio rappresentava.
Tradurlo, spesso ripetendo le stesse cose, mi ha reso indelebili nella memoria alcune espressioni, oltre che il suono della sua voce. Anche se alle volte eravamo stanchi morti, o incontravamo inutili figuri, per me è stato un onore, più ancora che un onere, far conoscere a molti il verbo pannelliano.

Thursday, January 10, 2019

Operazione Kok Ksor

Molto prima dei pericolosi "elementi contro-rivoluzionari" Pannella e Perduca, per Hanoi il nemico pubblico numero uno, rappresentante della peggiore "reazione”, si chiamava Kok Ksor. Oggi cittadino statunitense e presidente della Montagnard Foundation incorporata negli Stati Uniti, Kok Ksor è l'erede di Y Bham Enuol, il fondatore del FULRO, il Front Uni de Lutte des Races Opprimées.

Kok Ksor mi era stato “raccomandato” nell'aprile del 2000 da Penelope Faulkner mentre ero alla 56esima Commissione diritti umani di Ginevra, l'anno in cui la Russia chiese l'espulsione del Partito Radicale dalle Nazioni Unite. Penelope è una inglese che ha imparato talmente bene il vietnamita da comporre liriche con il nom del plume di Y Lan e che dagli anni Settanta è la più stretta e fidata collaboratrice di Vo Van Ai, il portavoce della Chiesa buddista unificata del Vietnam.

Vo Van Ai e Marco Pannella si conoscevano dalle marce nonviolente di Parigi degli anni Sessanta, quando i giovani monaci buddisti facevano il giro delle capitali occidentali durante la prima guerra indocinese per avvertire pacifisti di destra e sinistra che né il nord comunista né il sud capitalista e autoritario avrebbero rappresentato un futuro migliore per il Vietnam indipendente. La nonviolenza dei bonzi vietnamiti era diversa da quella gandhiana. Non di rado, in Europa, giovani monaci si auto-immolavano in luoghi pubblici per richiamare l'attenzione su ciò che accadeva nel loro paese. La lettura dei monaci buddisti e quella radicale del contesto indocinese erano simili, le reazioni però differivano alla radice. Quella dei bonzi era una disperazione simile a quella che oggi caratterizza alcuni tibetani, i Radicali ritenevano invece che occorresse far conoscere la "terza via" della non-violenza e del dialogo per scongiurare la guerra ed evitare ciò che che sarebbe seguito - e che in effetti seguì.

L’anno dopo il nostro veloce incontro a Ginevra nel 2000, Kok Ksor si iscrisse per la prima volta al Partito Radicale e, per diversi anni, lo seguirono anche centinaia di Montagnard sparsi nelle Caroline del nord e del sud degli USA. Da allora, e fino a quando si son tenute, Kok Ksor ha sempre partecipato alle riunioni del Partito Radicale.

La 58esima sessione della Commissione diritti umani dell'ONU dell’aprile del 2002 si teneva a una settimana dal 38esimo Congresso del Partito Radicale che simbolicamente era stato convocato proprio a Ginevra per marcare la sua ormai crescente caratterizzazione onusiana. Quel congresso era stato organizzato a sette anni dall'ultimo e quanto successe in quei quattro giorni e notti, così come nei sette mesi che lo separarono dalla seconda sessione a Tirana,  meriterebbe un libro per conto suo. Oltre ad affrontare le complesse problematiche di ritorno alla legalità statutaria del Partito e le "solite" guerre intestine, quel Congresso vide una straordinaria partecipazione di ospiti e iscritti transnazionali.

Tra i quasi mille registrati c'erano sicuramente anche "spie", "agenti provocatori" e altrettanto sicuramente "emissari" di quei paesi che nel 2000, alleati della Federazione russa, erano stati sonoramente sconfitti nel voto con cui il Consiglio Economico, Sociale e Culturale (ECOSOC) aveva rigettato la richiesta di Mosca di espellere il Partito dalle Nazioni unite. La qualità e i temi affrontati nel dibattito generale o in commissione, oltre che naturalmente la mozione finale adottata in chiusura, non fecero altro che confermare le caratteristiche politiche di un'organizzazione non-governativa dedita a denunciare senza sconti le violazioni dei diritti umani in decine di Stati Membri dell'ONU. Siccome le violazioni sono spesso frutto di precise scelte dei governi, le denunce del Partito Radicale erano di carattere politico e ritenute alla stregua di attacchi in violazione delle risoluzioni che consentono l’affiliazione delle ONG con l’ECOSOC.

La mozione generale del 38esimo Congresso, tra le varie cose, indicava come prioritarie le iniziative volte a:

- individuare le modalità di realizzazione, a partire delle esperienze compiute per la situazione in Afghanistan, in Cecenia e in Italia, un satyagraha lungo un anno, per promuovere un processo politico che facesse dell'instaurazione della democrazia e del regime delle libertà una priorità della comunità internazionale;

- fare delle lotte per la libertà della Cecenia, dell’Uighuristan e del Tibet obiettivo politico prioritario, non solo al fine di tutelare la concreta possibilità di salvezza umana e civile di popoli e individui minacciati da campagne di odio, persecuzione e genocidio, ma anche per riproporre il tema, assolutamente decisivo per gli scenari geopolitici internazionali, della democratizzazione e liberazione civile degli "imperi" russo e cinese;

- promuovere, anche in risposta alla minaccia del terrorismo, una "offensiva democratica" per l'ingresso di Israele nell’Unione europea e per l'instaurazione della democrazia in Tunisia;

- rilanciare la campagna per la riforma delle convenzioni internazionali in materia di droga, sulla base degli studi prodotti nell'ultimo decennio dal Cora-Coordinamento Radicale antiproibizionista e dalla LIA, Lega Internazionale Antiproibizionista, collaborando altresì con quanti, nei cosiddetti "paesi produttori", individuano nella legalizzazione delle droghe la condizione essenziale per la rinascita civile ed economica;

- individuare tutte le iniziative opportune affinché vengano precisati al più presto obiettivi concreti sul tema dell’Organizzazione mondiale della democrazia, a partire dalla proposte emerse dal dibattito congressuale, per la "Communities of Democracies", per l’istituzione di una Corte Mondiale dei Diritti Umani o di una Corte Costituzionale Internazionale;

- elaborare le basi di una campagna per l'integrazione dei paesi balcanici e caucasici nell’Unione europea e per la "esportazione" del sistema democratico nel continente asiatico, valorizzando il contributo non riconosciuto della democrazia indiana e contrastando l'avanzante diffusione del "modello cinese".

In caso di un altro “passo falso” alla Commissione Diritti umani, la dimostrazione che il Partito Radicale non solo era un partito politico ma era anche dedito a lanciare attacchi motivati contro Pechino, Mosca, Tunisi e magari pure Bogotà e Lima, sarebbe stata agevole attraverso l’uso di quel documento - molto di più rispetto a quanto non avesse fatto la Federazione russa nell’estate del 2000.

Le munizioni per la rivincita degli stati autoritari membri dell’ECOSOC sembravano esser pronte per esser utilizzate.

Sunday, November 4, 2018

Marcotraffico

Oh oh catch that buzz
Love is the drugs I'm thinking of
Oh oh can't you see
Love is the drug for me
Love is the Drug

Roxy Music

[...]

Nel sistema delle Nazioni unite esiste un ufficio interamente dedicato al controllo delle droghe e del crimine. Ha sede a Vienna e le sue varie divisioni, come quella sulle armi atomiche o quella che hanno a che fare con l'industrializzazione del globo, sono situate nella cosiddetta UNOCity - un'orribile costruzione grigia e arancione sulla riva sinistra del Danubio che ricorda i film di 007 degli anni Settanta. Una volta l'anno i 54 paesi membri della Commissione ONU sulle droghe (CND) si riuniscono in seduta plenaria per valutare possibili azioni congiunte volte a garantire la piena applicazione delle tre Convenzioni internazionali sulle droghe. La CND dipende dall'ECOSOC; lo status consultivo del Partito Radicale consentiva quindi di partecipare ai lavori della Commissione di Vienna. Per motivi logistici, la rappresentante del Partito Radicale alla CND di Vienna era Marina Szikora, che viveva a Budapest.

Poco dopo l'arrivo di Arlacchi alle Nazioni unite, Marco Cappato mi raggiunse all’ufficio di New York del Partito Radicale. Nel 1996 l'Assemblea generale ONU aveva finalmente accolto l'offerta dell'Italia di ospitare una conferenza diplomatica di plenipotenziari per definire e adottare lo statuto di quella che sarebbe diventata la Corte penale internazionale. L'offerta italiana era una delle eredità del contratto elettorale tra i Radicali e Forza Italia del 1994 e la conferenza diplomatica si sarebbe tenuta a Roma per cinque settimane tra giugno e luglio del 1998. L'associazione radicale Non c'è Pace senza Giustizia aveva ottenuto un significativo finanziamento dall'Open Society Institute di George Soros e dall'Unione europea per organizzare una serie di conferenze per accompagnare la stesura finale dello statuto della Corte. In base agli accordi, l’ufficio di New York del Partito Radicale sarebbe diventato la principale sede di lavoro per il coordinamento degli incontri in tutto il mondo.

Per un intero anno con Cappato ci spostammo da New York verso Washington, Atlanta, Bruxelles e Dakar per dar seguito a quei finanziamenti ma, al contempo, non ci facemmo mancare altri side project, o come si dice in inglese pet project - “capricci” -, tra questi c’era evitare che il Partito Radicale rimanesse fuori dal lavoro della Commissione droghe dell'ONU. Il motivi principale di questo ulteriore impegno era la convocazione di una sessione speciale dell'Assemblea Generale, UNGASS, interamente dedicata alle sostanze stupefacenti e che si sarebbe tenuta agli inizi di giugno del 1998 a Palazzo di Vetro a dieci anni dopo l’adozione della convenzione contro il traffico illecito di droghe e sostanze psicotrope.

Pino Arlacchi era il vice-segretario generale delle Nazioni unite a cui era stato affidato il compito di preparare quella sessione speciale e di far in modo che la società civile, le organizzazioni non-governative, potesse "contribuire" al dibattito. L’ordine del giorno dell’UNGASS non era particolarmente innovativo, ma il contesto generale si presentava stimolante, in quel periodo infatti il maggiore produttore di oppio per eroina era l’Afghanistan dove continuava da anni un conflitto armato interno e dove da qualche tempo un gruppo di talebani - dal persiano ṭālibān studenti - controllava due terzi del paese imponendo un Islam sunnita estremista e violento.

Dall'autunno del 1997, nella capitale austriaca furono convocati diversi comitati di preparatori, detti PrepCom, per definire i dettagli dell'agenda della sessione speciale e per identificare le priorità d’azione. Dopo un semestre di confronto con gli Stati membri e le altre agenzie coinvolte nel “controllo internazionale delle droghe”, Arlacchi decise che la principale proposta da avanzare in plenaria dovesse essere, nientepopodimenoché, la cancellazione di tutte le droghe dalla faccia della terra con un doppio piano quinquennale!

Saturday, November 3, 2018

E ora?

Marco Pannella è morto il 19 maggio del 2016 all’età di 86 anni dopo qualche mese di ritiro domestico e alcuni anni di progressivo peggioramento delle sue condizioni psico-fisiche. L'elaborazione del lutto è un’esperienza personale e, con tutto quel che ciò comporta, attiene alla dimensione emotiva dell'individuo. Certo, nei casi in cui l'“oggetto relazionale” del lutto è un personaggio pubblico, il "personale" diventa "politico", ma le implicazioni psicologiche del singolo non possono collettivizzarsi al punto da prendere il sopravvento sulla realtà.

La scomparsa di Pannella sembra esser diventata il motivo (ri)fondante della politica radicale, anzi Radicale con la "R" maiuscola. C'è chi ne sente la mancanza, chi l'assenza, chi non vedeva l'ora, chi ne recupera le citazioni più sconosciute, chi sbertuccia gli slogan più noti, chi tappezza i canali social con foto rubate o immagini storiche, chi lo usa come arma fratricida, chi se ne sbatte altamente. Chi ne ricorda i momenti duri, chi l'umanità e la generosità, chi preferisce il Pannella abruzzese chi quello transnazionale, chi quello degli albori chi quello della soffitta, chi fa emergere i propri o altrui odii, chi pratica ipocrisie o millanta ricordi, chi, a un certo punto, lo voleva quasi reincarnato nei gabbiani che non smettevano di occupare gli abbaini della sua soffitta dietro Fontana di Trevi. Insomma un caos molto umano e, se Pannella fosse ancora vivo, magari anche foriero di creatività, sol che Pannella purtroppo non c'è più, e questo è un dato di fatto che occorre tener bene a mente per il futuro della politica radicale.

La morte di Pannella, almeno per me, non "sembra ieri". Un po' perché il "mio" Pannella non era più lui dal 2011, un po' perché le mie elaborazioni dei lutti sono, magari per un superficiale ed egoistico riflesso auto-difensivo, veloci. La psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross, considerata la fondatrice dell'approccio psicotanatologico all'elaborazione del lutto, ha teorizzato cinque fasi di questo complesso processo ma le inquadra comunque in un lasso temporale definito intorno all'anno.

I primi mesi senza Pannella sono stati mesi di grandi - prevedibili, se non previste o ricercate - rotture tra chi ha "subito" il lutto. Contrasti che hanno portato a una profonda revisione di cosa possa, debba o voglia essere la politica Radicale e di chi sia titolato a possa esser all'altezza dell’abusato motto "fai quello che devi, accada quello che può".

Far qui il catalogo di chi abbia detto o fatto cosa, come, con chi e perché sarebbe cosa (forse) utile ma magari poco opportuna a conclusione di un libro di memorie personali. Men che meno mi par utile interrogarsi sul "cosa avrebbe detto" o "cosa avrebbe fatto" Pannella relativamente alle attualità politiche italiane e mondiali. Eppure se ne son sentite di tutti i colori. C’esta la vie.

Per anni chi ha scritto su Pannella l’ha descritto come narciso, mangiatore di figli, egocentrico, istrione, guitto, guru eccetera. Ma contrariamente a quanto questi pannellologi abbiano messo in fila, Pannella non era dedito al culto della (propria) personalità, se così fosse stato infatti si sarebbe occupato, tra le altre cose, di lasciare dettagliate istruzioni per il "dopo di lui" per individuate priorità, metodi e meriti per la tutela della sua eredità personale e politica e il suo buon nome e/o immagine. Invece non ha lasciato un testamento né disposizioni anticipate di trattamento. Ha scelto di non scegliere offrendosi al riciclo e al riuso di chiunque. Molto pannelliano a pensarci bene.

Sapendo di non star bene da diverso tempo, e non avendolo comunicato pubblicamente come invece aveva fatto Emma Bonino quando le fu diagnosticato un tumore, Pannella, in piena e totale libertà, ha lasciato quelli che l'hanno seguito negli anni, e fino agli ultimi giorni, di fronte alle proprie responsabilità. Certo ha lasciato il patrimonio a uno solo, ma questo ai miei occhi è un dettaglio politicamente irrilevante.

Pannella non era un pedagogo, non si preoccupava di formare discepoli, faceva politica radicale, quindi liberale, nonviolenta e riformatrice. Sicuramente aveva pesanti ascendenti su chi lo frequentava, ma come si "riuscisse a dar corpo" alle idee, sue o di altri Radicali, era lasciato alle individualità che s'incamminavano con lui o il Partito Radicale verso il perseguimento di obiettivi precisi. Tra questi sicuramente non c'era l'ottimizzazione delle risorse o quella dei talenti. Nessuno è perfetto.

Però a tutto c'è, anzi ci deve essere, un limite. Il futuro della politica Radicale non può esser rivolto al passato né al mantenere vivo un ricordo tanto indelebile quanto ineludibile come quello di quel che è stato Marco Pannella per il Partito Radicale e la storia politica italiana, europea e internazionale. L'agenda politica globale è piena di riscaldamenti tellurici, big data, intelligenza artificiale, blockchain, bitcoin, microdosing, genome editing, pulizie etniche e discriminazioni di ogni genere e specie da prendere in considerazione con analisi e proposte radicali urgentemente.

A me Pannella non manca, e non lo dico perché mi sia “emancipato” o “affrancato” politicamente, non mi manca perché sono abituato a far tesoro delle reali presenze più che rimanere imbrigliato (o imbrogliato) dalle assenze favoleggiando di metafisiche compresenze.

La morte di Pannella è stata un "bomba libero tutti". Dall'inizio della fase finale della sua malattia, la dirigenza radicale non si è riunita intorno al Partito, alle sue lotte e a quello che i Radicali hanno rappresentato in Italia e nel mondo. Malgrado per qualche mese ci sia stato chi ha ripetuto meccanicamente "spes contra spem" uno degli ultimi slogan pannelliani , ognuno è andato per la propria strada ritenendo di dover continuare a fare quello che aveva fatto in passato - anche niente o il contrario di quello che Pannella chiedeva.

Sebbene non siano mai mancati momenti di aspro confronto interno, anche pubblico, su tutto lo scibile politico e umano rappresentato dalla cosiddetta “galassia radicale”, dal congresso del 2011, l’ultimo a cui Pannella ha partecipato, nessuno ha ritenuto che fosse prioritario riflettere sul perché, in tutti questi anni e a fronte a importanti obiettivi raggiunti, il Partito Radicale in quanto tale non fosse mai riuscito a diventare un soggetto politico realmente transnazionale con un numero significativo di iscritti e dirigenti non italiani e una costante presenza attiva di parlamentari di ogni appartenenza partitica e provenienza geografica.

Non ho partecipato al 40esimo congresso del Partito Radicale perché, a differenza di quanto sarebbe stato opportuno fare all'indomani della scomparsa dell’inventore del di quel modello e modo di far politica, e cioè prendersi tutto il tempo necessario per riflettere profondamente sui successi politici e gli insuccessi "partitici", si è voluto corrispondere immediatamente a una richiesta di convocazione straordinaria promossa dal Tesoriere Maurizio Turco e accolta da un terzo degli iscritti al partito che, Pannella vivo, non era mai stata presa in considerazione. Della dirigenza solo Emma Bonino non andò. Le sue motivazioni non son state messe nero su bianco. Le mie sono che con questo modo di fare il Partito si pone agli antipodi del modus operandi che mi aveva fatto avvicinare alla politica.

Era necessario convocare un congresso, ma la sua organizzazione, pur necessaria e urgente, non aveva motivo d'esser immediata. La fretta è sempre cattiva consigliera, e c’erano decine di modi di dire pannelliani che avrebbero potuto suggerire un saggio modo di procedere. E, se fosse in effetti vero che i “mezzi prefigurano i fini”, la convocazione frettolosa del momento della presa delle decisioni per il futuro di un’organizzazione politica da parte di un soggetto politico in lutto non poteva che prevedere il cupio dissolvi.

Partecipare a un congresso per me non ha mai voluto dire fare politica - anche perché, molto spesso, i più formidabili animatori di quei consessi il giorno dopo scompaiono nel nulla - ma senza un momento di confronto pubblico su snodi politici e aspetti organizzativi, senza individuare priorità perseguibili e capire su quali gambe e spalle si possa caricare quel fardello la politica non c'è. C’è agitazione propagandistica fine a se stessa.

Nei suoi 70 anni di militanza, Pannella ha fatto propri, usato, rilanciato e interpretato simboli di ogni genere e provenienza. Ma ai richiami, alle allusioni e alle evocazioni, Pannella faceva sempre seguire un progetto politico che tenesse insieme metodo e merito, avanzava proposte che fossero capaci di coinvolgere, magari solo per un brevissimo tratto di strada, anche il peggior delinquente o avversario politico perché, laicamente, anteponeva obiettivi di riforma generale a interessi particolari. Se queste non erano all’altezza, si cercava il modo migliore per affinarle. Questo approccio di “pensiero e azione” valeva anche per le dinamiche di partito.

Dalla sua transnazionalizzazione, avvenuta al XXXV congresso di Budapest nel 1989, il Partito Radicale ha tenuto quattro congressi e, con forse un paio d'anni di eccezioni, non è mai riuscito a far vivere pienamente il proprio statuto. Eppure non c'è stata riunione, anche negli ultimi anni, in cui non si siano sentiti riferimenti aulici allo Statuto, un documento che non conosce probiviri, che consente l'iscrizione a chiunque e che prevede, tra le altre cose, un presidente d'onore, un segretario, un tesoriere, un consiglio generale composto da 50 membri - metà eletti dal congresso e metà da eleggersi tra i "legislatori" iscritti - e che nel 2002 fu modificato per creare un organo chiamato “senato” che raccoglieva le cosiddette "associazioni costituenti" il partito.

Secondo quel venerato Statuto, il congresso andrebbe convocato a cadenza fissa ogni due anni. Dal momento dell’effettiva transnazionalizzazione son stati convocati congressi nel 1992-3, nel 1995, nel 2002 di nuovo in due sessioni e nel 2011 in altrettante due parti, poi quello a Rebibbia dell’agosto 2016.

Fino alla morte di Pannella ci si poteva dichiarare “radicali” se iscritti al Partito Radicale. A poco importava condividerne le idee o le battaglie, senza la tessera non c’era il “diritto” all’appellativo. Naturalmente non era scritto da nessuna parte, semplicemente lo aveva stabilito verbalmente Pannella. E, lui vivo, aveva un senso. Oggi non più.

Per anni all'organizzazione di un soggetto politico transnazionale e transpartitico è sempre stata privilegiata la lotta politica - e parlamentare - nazionale, internazionale, nonviolenta, dentro e fuori le istituzioni. Una scelta che per tre decenni, grazie a campagne specifiche che negli anni si sono organizzate e strutturate in associazioni autonome ma non indipendenti, ha aperto e chiuso uffici, fatto iscrivere parlamentari, membri di governo, intellettuali, giornalisti e militanti dei diritti umani. Alcune di quelle fasi sono raccontate in queste pagine.

Mi sono iscritto al partito radicale per la prima volta nel 1994 con la convinzione, comunicata nella lettera all'allora segretaria Emma Bonino che si trova in esordio di queste memorie, che le battaglie transnazionali contro la pena di morte, per la creazione dei Tribunali ad hoc per la ex-Jugoslavia e il Ruanda, l'istituzione di una Corte Penale Internazionale e l'antiproibizionismo - oltre che una lingua internazionale - fossero obiettivi politici non solo condivisibili ma concretamente perseguibili da un soggetto politico nuovo che guardava al futuro con proposte di governo di fenomeni enormi.

Da allora, con la sola eccezione di Emma Bonino, credo di esser il militante, dirigente e parlamentare radicale che maggiormente ha avuto l'onore e l'onere di girare il mondo per tentare di raggiungere gli obiettivi fissati nelle mozioni dei primi anni Novanta partecipando a decine di missioni e conferenze in mezzo mondo per le associazioni radicali Non c'è Pace senza Giustizia e Nessuno Tocchi Caino, le attività della Lega internazionale Antiproibizionista o quelle della Esperanto Radikala Asocio e, più tardi, dell'Associazione Luca Coscioni. Allo stesso tempo, e per quasi 20 anni, ho anche coordinato alle Nazioni unite di New York, Ginevra e Vienna le attività del Partito Radicale - l’unica organizzazione non-governativa che in due occasioni ha sconfitto uno stato membro che la voleva punire per il suo sostegno ai nemici di governi autoritari. Sono stato accusato pubblicamente di aver distrutto il Partito Radicale.

Per me il Partito Radicale, e le sue associazioni costituenti, con le loro iniziative, pregi e difetti, non sono state un'evocazione di una politica in potenza, sono state una mia occupazione quotidiana per un ventennio. Ho visto che cosa può esser fatto e come, oltre che cosa non è mai stato fatto e perché non poteva esser fatto. Ho anche visto chi si è impegnato per provarci.

Per anni ho partecipato convintamente anche all'esercizio retorico del recupero della speranza che l'unione laica di forze all'interno di un partito transnazionale e transpartito - forze che spesso laiche non erano - potesse suscitare qualcosa di nuovo, di riformatore, di liberale. Sicuramente sono più i casi in cui quegli auspici non si son verificati per come proposti che il contrario, ma son convinto che senza quei tentativi, anche quelli non andati a buon fine, l'Italia, e altre zone del mondo che si aprivano alla democrazia dove il Partito Radicale è riuscito operare, oggi vivrebbero in condizioni peggiori.

Le piegature pannelliane delle regole interne, come quelle della lingua italiana, e anche di qualche fase della storia patria, avevano sempre obiettivi ulteriori, a volte più grandi altre meno importanti, ma si trattava di obiettivi che erano frutto di una visione d'insieme che veniva da lontano e che alla fin fine non faceva mai "perder tempo" anzi, lo facevano guadagnare, nella speranza che, assieme alle lotte crescesse anche il partito, il Partito Radicale Transnazionale e Transpartito.

Credo che il Partito Radicale, a cui non sono iscritto dal 2017, abbia bisogno di gente che s'impegni su qualcosa di chiaro e di perseguibile, che s'adoperi per reperire risorse umane e finanziarie, che privilegi la politica al "resto" - spesso anche all'organizzazione della propria esistenza. Ma credo anche che insistere con la necessità di far vivere un soggetto politico transnazionale e transpartitico senza interrogarsi sul perché non sia stato possibile che questo sia esistito per come era stato immaginato dal suo ideatore in fasi storiche in cui tanto Pannella quanto Bonino erano al massimo della forma fisica e politica e si contavano molti parlamentari "radicali" eletti in Italia e a Bruxelles, sia una nuova prassi che fa economia della teoria. E della realtà dei fatti.

Pannella piuttosto che vincere voleva convincere. Con la sua morte è finita la finzione di promuovere un simulacro di soggetto politico ritenendolo l’unico capace di far politica organizzata con metodi e meriti all’altezza del compito. "Essere all'altezza" di una storia, una tradizione, una teoria della prassi, dovrebbe prendere il posto del motto "essere speranza".

Saturday, October 27, 2018

autobiografie

Queste pagine sono, molto più semplicemente, il prodotto della "tentazione del cronista", l'altro ingrediente necessario, sempre secondo Koestler, che occorre per parlar di sé raccontando pezzi di vita vissuta ricostruendoli attraverso una miscela di ricordi personali e “appunti” conservati o recuperati in qualche modo di un signor nessuno, io.

Le autobiografie assumono interesse per un personaggio di rilievo pubblico per motivi storici, letterari, scientifici, artistici o culturali, mentre le memorie di sconosciuti possono essere interessanti perché, magari attingendo da esperienze personali, possono offrire testimonianze di una determinata fase storica, momento politico, ambiente culturale o di costume, o altro, che possono arricchire con punti di vista personali o liminari quanto contenuto nei libri di storia.  Esistono decine di memorie scritte da spettatori minori di eventi storici, come soldati semplici, servitori di personaggi storici, vittime o superstiti di eventi tragici, deportati in lager e gulag ecc.

Sunday, October 21, 2018

un po' di storia

Una settimana dopo l’UNGASS di New York sulle droghe, si sarebbe inaugurata la Conferenza diplomatica di Roma per l’adozione dello statuto della Corte penale internazionale, obiettivo congressuale fissato dal Partito Radicale quasi dieci anni prima - Non c’è Pace senza Giustizia avrebbe accreditato un numero di persone secondo solo ai funzionari delle Nazioni unite. Nell’estate del 1998, Olivier Dupuis, segretario del Partito Radicale, aveva lanciato un appello in decine di lingue per chiedere l’incriminazione di Slobodan Milošević da parte del Tribunale ad hoc per la ex-Jugoslavia (un altro obiettivo congressuale del Partito Radicale divenuto realtà), a ottobre Non c’è Pace senza Giustizia avrebbe organizzato una missione segreta nei Balcani per compilare l’atto d’accusa contro il presidente Jugoslavo. Nel 1998, Nessuno Tocchi Caino avrebbe ripreso le sue attività volte all’adozione di una risoluzione che invitava gli Stati membri delle Nazioni unite a proclamare una moratoria universale delle esecuzioni capitali concentrando le sue azioni sulla Commissione diritti umani di Ginevra che rispose positivamente.

Emma Bonino diventò la Commissaria europea più apprezzata, tanto che l’Economist la elevò a prototipo del rappresentante politico del futuro. L’ex-segretario del Partito Radicale Giovanni Negri lanciò la campagna “Emma for President” per promuovere una candidatura popolare per il Qurinale. All’inizio del 1999 nacque il Comitato radicale per la rivoluzione liberale e gli Stati uniti d’Europa di cui Cappato diventò il coordinatore - da quel comitato nacque l’idea della Lista Bonino per le elezioni europee di quell’anno e l’elaborazione di 20 quesiti referendari “liberali, liberisti e libertari”. Anche se solo 14 parlamentari votarono la Bonino come Presidente della Repubblica, la Commissaria Radicale volò nei sondaggi (e concorse a far eleggere il laico Carlo Azeglio Ciampi contro autorevoli esponenti della partitocrazia), la lista Emma Bonino raccolse l’8,5 percento dei consensi elettorali divenendo il secondo partito in buona parte dell’Italia del nord. I 20 referendum furono presentati in Cassazione il 20 settembre 1999 con una scenografia che ricordava la breccia di Porta Pia. Le oltre 12 milioni di sottoscrizioni furono possibili anche grazie all’alienazione dei gioielli di famiglia (Radio Radicale 2 e Agorà Telematica) vendute nella primavera del 1999 per far fronte agli ingentissimi costi di tre campagne politiche ed elettorali. Nel maggio di quell’anno la Procuratrice Louise Arbour del Tribunale per la ex-Jugoslavia incriminò Milošević per crimini contro l’umanità commessi in Kosovo anche grazie al contributo di Non c’è Pace senza Giustizia che aveva presentato il proprio lavoro al margine della conferenza di pace di Rambouillet.

Nel 2000 la Federazione russa accusò il Partito Radicale di sostegno ai terroristi ceceni e chiese che venisse revocata l’affiliazione che aveva con il Consiglio Economico e Sociale, ECOSOC, dell’ONU. La richiesta russa venne rigettata dalle Nazioni unite due giorni dopo l’uccisione in Georgia del giornalista di Radio Radicale Antonio Russo che raccontava le fasi finali del conflitto in Cecenia. Nel 2001 oltre 300 degar, popoli indigeni degli altopiani centrali vietnamiti, si iscrissero al Partito Radicale e da quell’anno il loro leader, Kok Ksor, avrebbe presto più volte la parola davanti alla Commissione diritti umani dell’ONU.  Per questi motivi, nel 2002 il Vietnam chiese all’ECOSOC che il Partito Radicale venisse punito per il sostegno al secessionismo dei montagnard degli altopiani centrali del Vietnam. Come accaduto relativamente alla richiesta russa, nell’ottobre 2004, la plenaria del Consiglio rigettò la richiesta vietnamita dopo due anni di istruttoria.

Dal 2000 si fece sempre più pressante la necessità di un ritorno alla legalità statutaria del Partito che non teneva un vero congresso dal 1995; venne individuata la data della primavera del 2002 per la convocazione del Congresso e fu scelta Ginevra anche in onore delle attività all’ONU. Il congresso vide l’allargarsi della frattura tra Pannella e Olivier Dupuis che fu ricucita, ma solo temporaneamente,  grazie alla convocazione di una seconda sessione congressuale a Tirana nel novembre dello stesso anno.

Nel frattempo entrò a far parte degli organi dirigenti del Partito, tra gli altri, Umar Khanbiev, già ministro della salute ceceno negli anni Novanta, mentre buona parte delle energie dei pochi che seguivano il Partito transnazionale, furono dedicate al progetto della cosiddetta Community of Democracies con l'intenzione di trasformarla in progetto politico col nome dell’Organizzazione delle e della democrazia. Una delegazione del Partito volò a Seoul immediatamente dopo il congresso di Tirana per partecipare a un incontro della Community. Il comitato ONU sulle ONG rifiutò la proposta del Partito Radicale di iscrivere l’uso di una “lingua internazionale ausiliaria” all’ordine del giorno dell’ECOSOC. Nelle fasi preparatorie del congresso del 2002 si recuperarono alcuni contatti anti-proibizionisti; tra questi, in particolare, quello del Professor Trebach frequentato ai tempi della fondazione della Lega Internazionale Antiproibizionista una decina di anni Novanta.

Thursday, October 11, 2018

introduzione e ringraziamenti

Proprio come i miei genitori, Pannella non mi ha mai incoraggiato o promosso. Allo stesso tempo non mi ha mai bloccato in niente. Questa io la chiamo "meritocrazia", sicuramente understated ma altrettanto sicuramente un chiaro messaggio di fiducia in uno che considerava snob. 

Fiducia che secondo me è stata ben riposta, anche perché è raro trovare un pannelliano ortodosso e disinteressato che riesca a cavarsela sempre da solo dovunque e con chiunque si trovi - ma questo è un altro discorso che non affronteremo.

L'ultimo capitolo di questo libro s'intitola "E ora?" e affronta quale futuro aspetta chi vuole continuare a chiamarsi radicale dopo la morte di Pannella nel maggio del 2016. Ne suggerisco la lettura in coda a questi venti anni di memorie in giro per il mondo per il Partito Radicale.  

Buon viaggio!