Sunday, November 4, 2018

Marcotraffico

Oh oh catch that buzz
Love is the drugs I'm thinking of
Oh oh can't you see
Love is the drug for me
Love is the Drug

Roxy Music

[...]

Nel sistema delle Nazioni unite esiste un ufficio interamente dedicato al controllo delle droghe e del crimine. Ha sede a Vienna e le sue varie divisioni, come quella sulle armi atomiche o quella che hanno a che fare con l'industrializzazione del globo, sono situate nella cosiddetta UNOCity - un'orribile costruzione grigia e arancione sulla riva sinistra del Danubio che ricorda i film di 007 degli anni Settanta. Una volta l'anno i 54 paesi membri della Commissione ONU sulle droghe (CND) si riuniscono in seduta plenaria per valutare possibili azioni congiunte volte a garantire la piena applicazione delle tre Convenzioni internazionali sulle droghe. La CND dipende dall'ECOSOC; lo status consultivo del Partito Radicale consentiva quindi di partecipare ai lavori della Commissione di Vienna. Per motivi logistici, la rappresentante del Partito Radicale alla CND di Vienna era Marina Szikora, che viveva a Budapest.

Poco dopo l'arrivo di Arlacchi alle Nazioni unite, Marco Cappato mi raggiunse all’ufficio di New York del Partito Radicale. Nel 1996 l'Assemblea generale ONU aveva finalmente accolto l'offerta dell'Italia di ospitare una conferenza diplomatica di plenipotenziari per definire e adottare lo statuto di quella che sarebbe diventata la Corte penale internazionale. L'offerta italiana era una delle eredità del contratto elettorale tra i Radicali e Forza Italia del 1994 e la conferenza diplomatica si sarebbe tenuta a Roma per cinque settimane tra giugno e luglio del 1998. L'associazione radicale Non c'è Pace senza Giustizia aveva ottenuto un significativo finanziamento dall'Open Society Institute di George Soros e dall'Unione europea per organizzare una serie di conferenze per accompagnare la stesura finale dello statuto della Corte. In base agli accordi, l’ufficio di New York del Partito Radicale sarebbe diventato la principale sede di lavoro per il coordinamento degli incontri in tutto il mondo.

Per un intero anno con Cappato ci spostammo da New York verso Washington, Atlanta, Bruxelles e Dakar per dar seguito a quei finanziamenti ma, al contempo, non ci facemmo mancare altri side project, o come si dice in inglese pet project - “capricci” -, tra questi c’era evitare che il Partito Radicale rimanesse fuori dal lavoro della Commissione droghe dell'ONU. Il motivi principale di questo ulteriore impegno era la convocazione di una sessione speciale dell'Assemblea Generale, UNGASS, interamente dedicata alle sostanze stupefacenti e che si sarebbe tenuta agli inizi di giugno del 1998 a Palazzo di Vetro a dieci anni dopo l’adozione della convenzione contro il traffico illecito di droghe e sostanze psicotrope.

Pino Arlacchi era il vice-segretario generale delle Nazioni unite a cui era stato affidato il compito di preparare quella sessione speciale e di far in modo che la società civile, le organizzazioni non-governative, potesse "contribuire" al dibattito. L’ordine del giorno dell’UNGASS non era particolarmente innovativo, ma il contesto generale si presentava stimolante, in quel periodo infatti il maggiore produttore di oppio per eroina era l’Afghanistan dove continuava da anni un conflitto armato interno e dove da qualche tempo un gruppo di talebani - dal persiano ṭālibān studenti - controllava due terzi del paese imponendo un Islam sunnita estremista e violento.

Dall'autunno del 1997, nella capitale austriaca furono convocati diversi comitati di preparatori, detti PrepCom, per definire i dettagli dell'agenda della sessione speciale e per identificare le priorità d’azione. Dopo un semestre di confronto con gli Stati membri e le altre agenzie coinvolte nel “controllo internazionale delle droghe”, Arlacchi decise che la principale proposta da avanzare in plenaria dovesse essere, nientepopodimenoché, la cancellazione di tutte le droghe dalla faccia della terra con un doppio piano quinquennale!

Saturday, November 3, 2018

E ora?

Marco Pannella è morto il 19 maggio del 2016 all’età di 86 anni dopo qualche mese di ritiro domestico e alcuni anni di progressivo peggioramento delle sue condizioni psico-fisiche. L'elaborazione del lutto è un’esperienza personale e, con tutto quel che ciò comporta, attiene alla dimensione emotiva dell'individuo. Certo, nei casi in cui l'“oggetto relazionale” del lutto è un personaggio pubblico, il "personale" diventa "politico", ma le implicazioni psicologiche del singolo non possono collettivizzarsi al punto da prendere il sopravvento sulla realtà.

La scomparsa di Pannella sembra esser diventata il motivo (ri)fondante della politica radicale, anzi Radicale con la "R" maiuscola. C'è chi ne sente la mancanza, chi l'assenza, chi non vedeva l'ora, chi ne recupera le citazioni più sconosciute, chi sbertuccia gli slogan più noti, chi tappezza i canali social con foto rubate o immagini storiche, chi lo usa come arma fratricida, chi se ne sbatte altamente. Chi ne ricorda i momenti duri, chi l'umanità e la generosità, chi preferisce il Pannella abruzzese chi quello transnazionale, chi quello degli albori chi quello della soffitta, chi fa emergere i propri o altrui odii, chi pratica ipocrisie o millanta ricordi, chi, a un certo punto, lo voleva quasi reincarnato nei gabbiani che non smettevano di occupare gli abbaini della sua soffitta dietro Fontana di Trevi. Insomma un caos molto umano e, se Pannella fosse ancora vivo, magari anche foriero di creatività, sol che Pannella purtroppo non c'è più, e questo è un dato di fatto che occorre tener bene a mente per il futuro della politica radicale.

La morte di Pannella, almeno per me, non "sembra ieri". Un po' perché il "mio" Pannella non era più lui dal 2011, un po' perché le mie elaborazioni dei lutti sono, magari per un superficiale ed egoistico riflesso auto-difensivo, veloci. La psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross, considerata la fondatrice dell'approccio psicotanatologico all'elaborazione del lutto, ha teorizzato cinque fasi di questo complesso processo ma le inquadra comunque in un lasso temporale definito intorno all'anno.

I primi mesi senza Pannella sono stati mesi di grandi - prevedibili, se non previste o ricercate - rotture tra chi ha "subito" il lutto. Contrasti che hanno portato a una profonda revisione di cosa possa, debba o voglia essere la politica Radicale e di chi sia titolato a possa esser all'altezza dell’abusato motto "fai quello che devi, accada quello che può".

Far qui il catalogo di chi abbia detto o fatto cosa, come, con chi e perché sarebbe cosa (forse) utile ma magari poco opportuna a conclusione di un libro di memorie personali. Men che meno mi par utile interrogarsi sul "cosa avrebbe detto" o "cosa avrebbe fatto" Pannella relativamente alle attualità politiche italiane e mondiali. Eppure se ne son sentite di tutti i colori. C’esta la vie.

Per anni chi ha scritto su Pannella l’ha descritto come narciso, mangiatore di figli, egocentrico, istrione, guitto, guru eccetera. Ma contrariamente a quanto questi pannellologi abbiano messo in fila, Pannella non era dedito al culto della (propria) personalità, se così fosse stato infatti si sarebbe occupato, tra le altre cose, di lasciare dettagliate istruzioni per il "dopo di lui" per individuate priorità, metodi e meriti per la tutela della sua eredità personale e politica e il suo buon nome e/o immagine. Invece non ha lasciato un testamento né disposizioni anticipate di trattamento. Ha scelto di non scegliere offrendosi al riciclo e al riuso di chiunque. Molto pannelliano a pensarci bene.

Sapendo di non star bene da diverso tempo, e non avendolo comunicato pubblicamente come invece aveva fatto Emma Bonino quando le fu diagnosticato un tumore, Pannella, in piena e totale libertà, ha lasciato quelli che l'hanno seguito negli anni, e fino agli ultimi giorni, di fronte alle proprie responsabilità. Certo ha lasciato il patrimonio a uno solo, ma questo ai miei occhi è un dettaglio politicamente irrilevante.

Pannella non era un pedagogo, non si preoccupava di formare discepoli, faceva politica radicale, quindi liberale, nonviolenta e riformatrice. Sicuramente aveva pesanti ascendenti su chi lo frequentava, ma come si "riuscisse a dar corpo" alle idee, sue o di altri Radicali, era lasciato alle individualità che s'incamminavano con lui o il Partito Radicale verso il perseguimento di obiettivi precisi. Tra questi sicuramente non c'era l'ottimizzazione delle risorse o quella dei talenti. Nessuno è perfetto.

Però a tutto c'è, anzi ci deve essere, un limite. Il futuro della politica Radicale non può esser rivolto al passato né al mantenere vivo un ricordo tanto indelebile quanto ineludibile come quello di quel che è stato Marco Pannella per il Partito Radicale e la storia politica italiana, europea e internazionale. L'agenda politica globale è piena di riscaldamenti tellurici, big data, intelligenza artificiale, blockchain, bitcoin, microdosing, genome editing, pulizie etniche e discriminazioni di ogni genere e specie da prendere in considerazione con analisi e proposte radicali urgentemente.

A me Pannella non manca, e non lo dico perché mi sia “emancipato” o “affrancato” politicamente, non mi manca perché sono abituato a far tesoro delle reali presenze più che rimanere imbrigliato (o imbrogliato) dalle assenze favoleggiando di metafisiche compresenze.

La morte di Pannella è stata un "bomba libero tutti". Dall'inizio della fase finale della sua malattia, la dirigenza radicale non si è riunita intorno al Partito, alle sue lotte e a quello che i Radicali hanno rappresentato in Italia e nel mondo. Malgrado per qualche mese ci sia stato chi ha ripetuto meccanicamente "spes contra spem" uno degli ultimi slogan pannelliani , ognuno è andato per la propria strada ritenendo di dover continuare a fare quello che aveva fatto in passato - anche niente o il contrario di quello che Pannella chiedeva.

Sebbene non siano mai mancati momenti di aspro confronto interno, anche pubblico, su tutto lo scibile politico e umano rappresentato dalla cosiddetta “galassia radicale”, dal congresso del 2011, l’ultimo a cui Pannella ha partecipato, nessuno ha ritenuto che fosse prioritario riflettere sul perché, in tutti questi anni e a fronte a importanti obiettivi raggiunti, il Partito Radicale in quanto tale non fosse mai riuscito a diventare un soggetto politico realmente transnazionale con un numero significativo di iscritti e dirigenti non italiani e una costante presenza attiva di parlamentari di ogni appartenenza partitica e provenienza geografica.

Non ho partecipato al 40esimo congresso del Partito Radicale perché, a differenza di quanto sarebbe stato opportuno fare all'indomani della scomparsa dell’inventore del di quel modello e modo di far politica, e cioè prendersi tutto il tempo necessario per riflettere profondamente sui successi politici e gli insuccessi "partitici", si è voluto corrispondere immediatamente a una richiesta di convocazione straordinaria promossa dal Tesoriere Maurizio Turco e accolta da un terzo degli iscritti al partito che, Pannella vivo, non era mai stata presa in considerazione. Della dirigenza solo Emma Bonino non andò. Le sue motivazioni non son state messe nero su bianco. Le mie sono che con questo modo di fare il Partito si pone agli antipodi del modus operandi che mi aveva fatto avvicinare alla politica.

Era necessario convocare un congresso, ma la sua organizzazione, pur necessaria e urgente, non aveva motivo d'esser immediata. La fretta è sempre cattiva consigliera, e c’erano decine di modi di dire pannelliani che avrebbero potuto suggerire un saggio modo di procedere. E, se fosse in effetti vero che i “mezzi prefigurano i fini”, la convocazione frettolosa del momento della presa delle decisioni per il futuro di un’organizzazione politica da parte di un soggetto politico in lutto non poteva che prevedere il cupio dissolvi.

Partecipare a un congresso per me non ha mai voluto dire fare politica - anche perché, molto spesso, i più formidabili animatori di quei consessi il giorno dopo scompaiono nel nulla - ma senza un momento di confronto pubblico su snodi politici e aspetti organizzativi, senza individuare priorità perseguibili e capire su quali gambe e spalle si possa caricare quel fardello la politica non c'è. C’è agitazione propagandistica fine a se stessa.

Nei suoi 70 anni di militanza, Pannella ha fatto propri, usato, rilanciato e interpretato simboli di ogni genere e provenienza. Ma ai richiami, alle allusioni e alle evocazioni, Pannella faceva sempre seguire un progetto politico che tenesse insieme metodo e merito, avanzava proposte che fossero capaci di coinvolgere, magari solo per un brevissimo tratto di strada, anche il peggior delinquente o avversario politico perché, laicamente, anteponeva obiettivi di riforma generale a interessi particolari. Se queste non erano all’altezza, si cercava il modo migliore per affinarle. Questo approccio di “pensiero e azione” valeva anche per le dinamiche di partito.

Dalla sua transnazionalizzazione, avvenuta al XXXV congresso di Budapest nel 1989, il Partito Radicale ha tenuto quattro congressi e, con forse un paio d'anni di eccezioni, non è mai riuscito a far vivere pienamente il proprio statuto. Eppure non c'è stata riunione, anche negli ultimi anni, in cui non si siano sentiti riferimenti aulici allo Statuto, un documento che non conosce probiviri, che consente l'iscrizione a chiunque e che prevede, tra le altre cose, un presidente d'onore, un segretario, un tesoriere, un consiglio generale composto da 50 membri - metà eletti dal congresso e metà da eleggersi tra i "legislatori" iscritti - e che nel 2002 fu modificato per creare un organo chiamato “senato” che raccoglieva le cosiddette "associazioni costituenti" il partito.

Secondo quel venerato Statuto, il congresso andrebbe convocato a cadenza fissa ogni due anni. Dal momento dell’effettiva transnazionalizzazione son stati convocati congressi nel 1992-3, nel 1995, nel 2002 di nuovo in due sessioni e nel 2011 in altrettante due parti, poi quello a Rebibbia dell’agosto 2016.

Fino alla morte di Pannella ci si poteva dichiarare “radicali” se iscritti al Partito Radicale. A poco importava condividerne le idee o le battaglie, senza la tessera non c’era il “diritto” all’appellativo. Naturalmente non era scritto da nessuna parte, semplicemente lo aveva stabilito verbalmente Pannella. E, lui vivo, aveva un senso. Oggi non più.

Per anni all'organizzazione di un soggetto politico transnazionale e transpartitico è sempre stata privilegiata la lotta politica - e parlamentare - nazionale, internazionale, nonviolenta, dentro e fuori le istituzioni. Una scelta che per tre decenni, grazie a campagne specifiche che negli anni si sono organizzate e strutturate in associazioni autonome ma non indipendenti, ha aperto e chiuso uffici, fatto iscrivere parlamentari, membri di governo, intellettuali, giornalisti e militanti dei diritti umani. Alcune di quelle fasi sono raccontate in queste pagine.

Mi sono iscritto al partito radicale per la prima volta nel 1994 con la convinzione, comunicata nella lettera all'allora segretaria Emma Bonino che si trova in esordio di queste memorie, che le battaglie transnazionali contro la pena di morte, per la creazione dei Tribunali ad hoc per la ex-Jugoslavia e il Ruanda, l'istituzione di una Corte Penale Internazionale e l'antiproibizionismo - oltre che una lingua internazionale - fossero obiettivi politici non solo condivisibili ma concretamente perseguibili da un soggetto politico nuovo che guardava al futuro con proposte di governo di fenomeni enormi.

Da allora, con la sola eccezione di Emma Bonino, credo di esser il militante, dirigente e parlamentare radicale che maggiormente ha avuto l'onore e l'onere di girare il mondo per tentare di raggiungere gli obiettivi fissati nelle mozioni dei primi anni Novanta partecipando a decine di missioni e conferenze in mezzo mondo per le associazioni radicali Non c'è Pace senza Giustizia e Nessuno Tocchi Caino, le attività della Lega internazionale Antiproibizionista o quelle della Esperanto Radikala Asocio e, più tardi, dell'Associazione Luca Coscioni. Allo stesso tempo, e per quasi 20 anni, ho anche coordinato alle Nazioni unite di New York, Ginevra e Vienna le attività del Partito Radicale - l’unica organizzazione non-governativa che in due occasioni ha sconfitto uno stato membro che la voleva punire per il suo sostegno ai nemici di governi autoritari. Sono stato accusato pubblicamente di aver distrutto il Partito Radicale.

Per me il Partito Radicale, e le sue associazioni costituenti, con le loro iniziative, pregi e difetti, non sono state un'evocazione di una politica in potenza, sono state una mia occupazione quotidiana per un ventennio. Ho visto che cosa può esser fatto e come, oltre che cosa non è mai stato fatto e perché non poteva esser fatto. Ho anche visto chi si è impegnato per provarci.

Per anni ho partecipato convintamente anche all'esercizio retorico del recupero della speranza che l'unione laica di forze all'interno di un partito transnazionale e transpartito - forze che spesso laiche non erano - potesse suscitare qualcosa di nuovo, di riformatore, di liberale. Sicuramente sono più i casi in cui quegli auspici non si son verificati per come proposti che il contrario, ma son convinto che senza quei tentativi, anche quelli non andati a buon fine, l'Italia, e altre zone del mondo che si aprivano alla democrazia dove il Partito Radicale è riuscito operare, oggi vivrebbero in condizioni peggiori.

Le piegature pannelliane delle regole interne, come quelle della lingua italiana, e anche di qualche fase della storia patria, avevano sempre obiettivi ulteriori, a volte più grandi altre meno importanti, ma si trattava di obiettivi che erano frutto di una visione d'insieme che veniva da lontano e che alla fin fine non faceva mai "perder tempo" anzi, lo facevano guadagnare, nella speranza che, assieme alle lotte crescesse anche il partito, il Partito Radicale Transnazionale e Transpartito.

Credo che il Partito Radicale, a cui non sono iscritto dal 2017, abbia bisogno di gente che s'impegni su qualcosa di chiaro e di perseguibile, che s'adoperi per reperire risorse umane e finanziarie, che privilegi la politica al "resto" - spesso anche all'organizzazione della propria esistenza. Ma credo anche che insistere con la necessità di far vivere un soggetto politico transnazionale e transpartitico senza interrogarsi sul perché non sia stato possibile che questo sia esistito per come era stato immaginato dal suo ideatore in fasi storiche in cui tanto Pannella quanto Bonino erano al massimo della forma fisica e politica e si contavano molti parlamentari "radicali" eletti in Italia e a Bruxelles, sia una nuova prassi che fa economia della teoria. E della realtà dei fatti.

Pannella piuttosto che vincere voleva convincere. Con la sua morte è finita la finzione di promuovere un simulacro di soggetto politico ritenendolo l’unico capace di far politica organizzata con metodi e meriti all’altezza del compito. "Essere all'altezza" di una storia, una tradizione, una teoria della prassi, dovrebbe prendere il posto del motto "essere speranza".

Saturday, October 27, 2018

autobiografie

Queste pagine sono, molto più semplicemente, il prodotto della "tentazione del cronista", l'altro ingrediente necessario, sempre secondo Koestler, che occorre per parlar di sé raccontando pezzi di vita vissuta ricostruendoli attraverso una miscela di ricordi personali e “appunti” conservati o recuperati in qualche modo di un signor nessuno, io.

Le autobiografie assumono interesse per un personaggio di rilievo pubblico per motivi storici, letterari, scientifici, artistici o culturali, mentre le memorie di sconosciuti possono essere interessanti perché, magari attingendo da esperienze personali, possono offrire testimonianze di una determinata fase storica, momento politico, ambiente culturale o di costume, o altro, che possono arricchire con punti di vista personali o liminari quanto contenuto nei libri di storia.  Esistono decine di memorie scritte da spettatori minori di eventi storici, come soldati semplici, servitori di personaggi storici, vittime o superstiti di eventi tragici, deportati in lager e gulag ecc.

Sunday, October 21, 2018

un po' di storia

Una settimana dopo l’UNGASS di New York sulle droghe, si sarebbe inaugurata la Conferenza diplomatica di Roma per l’adozione dello statuto della Corte penale internazionale, obiettivo congressuale fissato dal Partito Radicale quasi dieci anni prima - Non c’è Pace senza Giustizia avrebbe accreditato un numero di persone secondo solo ai funzionari delle Nazioni unite. Nell’estate del 1998, Olivier Dupuis, segretario del Partito Radicale, aveva lanciato un appello in decine di lingue per chiedere l’incriminazione di Slobodan Milošević da parte del Tribunale ad hoc per la ex-Jugoslavia (un altro obiettivo congressuale del Partito Radicale divenuto realtà), a ottobre Non c’è Pace senza Giustizia avrebbe organizzato una missione segreta nei Balcani per compilare l’atto d’accusa contro il presidente Jugoslavo. Nel 1998, Nessuno Tocchi Caino avrebbe ripreso le sue attività volte all’adozione di una risoluzione che invitava gli Stati membri delle Nazioni unite a proclamare una moratoria universale delle esecuzioni capitali concentrando le sue azioni sulla Commissione diritti umani di Ginevra che rispose positivamente.

Emma Bonino diventò la Commissaria europea più apprezzata, tanto che l’Economist la elevò a prototipo del rappresentante politico del futuro. L’ex-segretario del Partito Radicale Giovanni Negri lanciò la campagna “Emma for President” per promuovere una candidatura popolare per il Qurinale. All’inizio del 1999 nacque il Comitato radicale per la rivoluzione liberale e gli Stati uniti d’Europa di cui Cappato diventò il coordinatore - da quel comitato nacque l’idea della Lista Bonino per le elezioni europee di quell’anno e l’elaborazione di 20 quesiti referendari “liberali, liberisti e libertari”. Anche se solo 14 parlamentari votarono la Bonino come Presidente della Repubblica, la Commissaria Radicale volò nei sondaggi (e concorse a far eleggere il laico Carlo Azeglio Ciampi contro autorevoli esponenti della partitocrazia), la lista Emma Bonino raccolse l’8,5 percento dei consensi elettorali divenendo il secondo partito in buona parte dell’Italia del nord. I 20 referendum furono presentati in Cassazione il 20 settembre 1999 con una scenografia che ricordava la breccia di Porta Pia. Le oltre 12 milioni di sottoscrizioni furono possibili anche grazie all’alienazione dei gioielli di famiglia (Radio Radicale 2 e Agorà Telematica) vendute nella primavera del 1999 per far fronte agli ingentissimi costi di tre campagne politiche ed elettorali. Nel maggio di quell’anno la Procuratrice Louise Arbour del Tribunale per la ex-Jugoslavia incriminò Milošević per crimini contro l’umanità commessi in Kosovo anche grazie al contributo di Non c’è Pace senza Giustizia che aveva presentato il proprio lavoro al margine della conferenza di pace di Rambouillet.

Nel 2000 la Federazione russa accusò il Partito Radicale di sostegno ai terroristi ceceni e chiese che venisse revocata l’affiliazione che aveva con il Consiglio Economico e Sociale, ECOSOC, dell’ONU. La richiesta russa venne rigettata dalle Nazioni unite due giorni dopo l’uccisione in Georgia del giornalista di Radio Radicale Antonio Russo che raccontava le fasi finali del conflitto in Cecenia. Nel 2001 oltre 300 degar, popoli indigeni degli altopiani centrali vietnamiti, si iscrissero al Partito Radicale e da quell’anno il loro leader, Kok Ksor, avrebbe presto più volte la parola davanti alla Commissione diritti umani dell’ONU.  Per questi motivi, nel 2002 il Vietnam chiese all’ECOSOC che il Partito Radicale venisse punito per il sostegno al secessionismo dei montagnard degli altopiani centrali del Vietnam. Come accaduto relativamente alla richiesta russa, nell’ottobre 2004, la plenaria del Consiglio rigettò la richiesta vietnamita dopo due anni di istruttoria.

Dal 2000 si fece sempre più pressante la necessità di un ritorno alla legalità statutaria del Partito che non teneva un vero congresso dal 1995; venne individuata la data della primavera del 2002 per la convocazione del Congresso e fu scelta Ginevra anche in onore delle attività all’ONU. Il congresso vide l’allargarsi della frattura tra Pannella e Olivier Dupuis che fu ricucita, ma solo temporaneamente,  grazie alla convocazione di una seconda sessione congressuale a Tirana nel novembre dello stesso anno.

Nel frattempo entrò a far parte degli organi dirigenti del Partito, tra gli altri, Umar Khanbiev, già ministro della salute ceceno negli anni Novanta, mentre buona parte delle energie dei pochi che seguivano il Partito transnazionale, furono dedicate al progetto della cosiddetta Community of Democracies con l'intenzione di trasformarla in progetto politico col nome dell’Organizzazione delle e della democrazia. Una delegazione del Partito volò a Seoul immediatamente dopo il congresso di Tirana per partecipare a un incontro della Community. Il comitato ONU sulle ONG rifiutò la proposta del Partito Radicale di iscrivere l’uso di una “lingua internazionale ausiliaria” all’ordine del giorno dell’ECOSOC. Nelle fasi preparatorie del congresso del 2002 si recuperarono alcuni contatti anti-proibizionisti; tra questi, in particolare, quello del Professor Trebach frequentato ai tempi della fondazione della Lega Internazionale Antiproibizionista una decina di anni Novanta.

Thursday, October 11, 2018

introduzione e ringraziamenti

Proprio come i miei genitori, Pannella non mi ha mai incoraggiato o promosso. Allo stesso tempo non mi ha mai bloccato in niente. Questa io la chiamo "meritocrazia", sicuramente understated ma altrettanto sicuramente un chiaro messaggio di fiducia in uno che considerava snob. 

Fiducia che secondo me è stata ben riposta, anche perché è raro trovare un pannelliano ortodosso e disinteressato che riesca a cavarsela sempre da solo dovunque e con chiunque si trovi - ma questo è un altro discorso che non affronteremo.

L'ultimo capitolo di questo libro s'intitola "E ora?" e affronta quale futuro aspetta chi vuole continuare a chiamarsi radicale dopo la morte di Pannella nel maggio del 2016. Ne suggerisco la lettura in coda a questi venti anni di memorie in giro per il mondo per il Partito Radicale.  

Buon viaggio!

Tuesday, October 2, 2018

Lefkoşa

Alzi la mano chi sa dove sia Cipro! Ma soprattutto chi ricorda quale diamine di problema politico preoccupi da decenni l’isola dove nacque Afrodite! Fino al 2007 sarei stato tra quelli che, magari vergognandosene, avrebbero alzato la mano - non avrei saputo identificarla al volo se mi avessero sottoposto un "confronto all'americana" di isole mediterranee.

Che ci fossero problemi m'era giunto all'orecchio, anche perché nel tempo libero a New York, come tutte le persone che si vogliono dare delle arie, leggevo Foreign Affairs e, nella mia memoria di bambino affascinato dalla TV, ricordavo nomi impossibili come Rauf Denktaş e Glafkos Clerides, ma quale fosse il motivo del contendere mi sfuggiva. E forse non solo a me.

 Nella tarda primavera del 2007, Pannella mi chiese di affacciarmi nel suo ufficio quando, di lì a poco, sarebbero arrivati dall'Ambasciata Turca a fargli visita - "Chiama anche (Maurizio) Turco". Per cortesia nei confronti dell'ospite l'incontro si svolse per buona parte in francese, conosciuto dal diplomatico turco, ma non dalla sua collega. Come si chiamasse il tipo non me lo ricordo, era arrivato da poco e non l'avrei più incontrato, la tipa invece si chiamava Çimen Keskin.

 Lui era turco turco, lei turco-cipriota.

Sunday, September 30, 2018

Bananas for Democracy

Secondo Mohandas Karamchand Gandhi, la cui data di nascita è stata scelta dalle Nazioni unite per celebrare la giornata mondiale per la non-violenza, un “mezzo giusto porta a un fine giusto”. Per il mingerlino ex avvocato indiano, la non-violenza era l'unica via possibile per arrivare all'indipendenza dell'India senza massacri.

Se, per dirlca con Marco Pannella  “i mezzi prefigurano i fini”, i movimenti civili che hanno caratterizzato la scena politica di Hong Kong da quando il territorio fu restituito alla Cina nel 1997 rappresentano un interessante (e purtroppo poco noto o studiato) esperimento di nonviolenza spontanea dalla caduta del Muro di Berlino. Dal 2011, infatti, nell’ex colonia britannica del mare cinese del sud s’è sviluppato un movimento senza una leadership personalistica e senza una precisa ideologia di riferimento che non fosse la richiesta di democrazia.

In base alla promessa fatta da Pechino di mantenere “due sistemi” ma “un paese”, promessa che finirà nel 2047, Hong Kong ha potuto sviluppare un sistema politico diverso da quello della Cina continentale. La Basic Law del territorio, l’equivalente della “costituzione”, prevede che la regione, escludendo le relazioni internazionali e la difesa, possa godere di un significativo grado di autonomia in molti aspetti della vita civile ed economica. Anche al fine di tutelare gli interessi economici, commerciali e finanziari che caratterizzano l’isola da oltre un secolo e mezzo, la magistratura è sostanzialmente indipendente e ha continuato a funzionare secondo il modello britannico della Common Law.

I miei nipoti di Mubarak

La cosa che ho sempre maggiormente apprezzato della politica radicale era ilfatto che diceva quel che veniva fatto e faceva quel che veniva detto. In politica si tende sempre a enfatizzare talmente tanto i propri meriti, o il proprio ruolo, che si rasentano i confini del millantato credito.

A dir la verità, alla fin fine sono pochi in effetti in partiti o movimenti politici che possono rivendicare successi; tra questi i Radicali sicuramente possono vantarsi di conquiste di libertà e civiltà in Italia e altrove. Nei miei 20 anni passati a cercar di dar corpo alla poetica pannelliana, una delle più efficaci nel far tesoro vittorioso anche le sconfitte, mi è anche capitato di fare cose molte pubbliche e in pubblico, ma alcune anche in gran segreto. La più clamorosa è raccontata nel capitolo “the calling fields” di questo libro relativa all’incriminazione di Milošević davanti al Tribunale per la ex Jugoslavia, le altre, sicuramente di portata minore, son ricordate qui.

Nel 2005, Alessandro Litta Modignani, storico radicale di Milano e per un paio d’anni consigliere regionale lombardo per la Lista Bonino, aveva orchestrato la fuga di un pallavolista cubano durante una trasferta della nazionale di quel paese a Milano. Una macchina parcheggiata dietro il pullman della squadra, una maglietta della Juventus, e Xavier Augusto Gonzalez Pantòn, 22 anni, “alzatore” della nazionale di cubana di volley, non si presentò al match dov’era atteso.

Un fatto simile era già accaduto nel 2001 quando Ihosvani Hernandez (campione d’Italia nel 2000), Lionel Marshall, figlio dell’allora presidente della Federazione cubana di pallavolo, Jorge Luis Hernandez, Yasser Romero e Ramon Gato avevano deciso di restare in Italia durante una tournée della nazionale cubana nell’Europa del nord. In una conferenza stampa a Milano dichiararono di voler chiedere asilo politico nel nostro paese e di voler “continuare a giocare per la nostra nazionale, ma” dissero “per il bene proprio della nazionale cubana, crediamo che sia giusto darci la possibilità di disputare il miglior campionato del mondo, quello italiano. Il nostro gesto è un modo per far capire alle autorità sportive del nostro paese che vogliamo aprire un dialogo utile per tutti gli atleti cubani. Per questo non chiediamo lo status di rifugiati”.

Friday, September 28, 2018

Nouakchott

L'ufficio di Marco Pannella non era più un ufficio. Al terzo piano di via di Torre Argentina a Roma, Pannella occupava la "saletta", un luogo che in passato aveva ospitato fumosissime e tesissime riunioni su tutto lo scibile umano utile e inutile, ma che da qualche anno era divenuta una via di mezzo tra un magazzino di libri e carte - Pannella si faceva stampare le agenzie almeno quattro volte al giorno insieme alle email e a schermate di dibattiti su forum online - una sala di controllo dove radio e TV erano sempre accese, spesso a volume elevati, e un fumoir.

Il tempo pareva seguire i ritmi di Pannella e non viceversa, chiunque era benvenuto, anche perché la porta era sempre aperta, si sapeva quando si entrava ma non quando si usciva.

Col tempo, a occhio e croce 50 anni, negli uffici di Pannella sono entrate migliaia di persone con proposte, richieste, offerte, regali e tante altre cose che magari con la politica c'entrano meno. Pannella era probabilmente l'unico leader di partito, o parlamentare, sinceramente "open" come si deve dire oggi.

Fino a quando la malattia non lo costrinse a letto, era totalmente accessibile a qualsiasi ora del giorno e della notte, non c'erano filtri di segreterie o "cerchi magici" - ti annunciavi e ti potevi accomodare. Tra i tantissimi a cui fu prestato orecchio nell’estate del 2010 ci fu Ivana Dama, una ragazza di Napoli sposata con un mauritano che raccontò a Pannella che nel suo paese esisteva ancora la schiavitù e che chi lottava perché questa venisse abolita era un nonviolento che si chiamava Biram.


[continua]



Wednesday, January 3, 2018

Questa storia dei soldi di Soros

Non so di preciso come Emma Bonino e George Soros, coetaneo di Marco Pannella, si siano conosciuti, certo mi è che i contatti con Aryeh Neier, l'avvocato per i diritti umani che Soros coinvolse per creare l'Open Society Institute, risalgono all'inizio degli anni '90 quando l’OSI nasceva.

Il 28 maggio 1984, il miliardario di origini ungheresi e studi londinesi George Soros firmato un contratto tra la Fondazione Soros, di New York, e l'Accademia Ungherese delle Scienze, per avviare una serie di attività filantropiche per aiutare i paesi a allontanarsi dal comunismo. Nel 1991 ci fu un’ulteriore fusione, quella con la Fondation pour une Entrée Intellectuelle Européenne, affiliata al Congresso per la libertà culturale, creata nel 1966 per ispirare "scienziati non conformisti" dell'Europa orientale con idee anti-totalitarie e vicine al capitalismo. l’Open Society Institute è stato creato negli Stati Uniti nel 1993 per sostenere le fondazioni di George Soros nell'Europa centrale e orientale e nell'ex Unione Sovietica.

Il motivo dell’incontro tra la Bonino e Neier, che aveva un’esperienza quasi ventennale presso l’American Civil Liberties Union, ACLU, e che per 12 anni era stato il direttore di Human Rights Watch, che aveva contribuito a fondare nel 1978, era la giustizia penale internazionale. L’Amministrazione Clinton, con cui George Soros aveva un rapporto privilegiato, era stata cruciale per la creazione definitiva dei due Tribunali ad hoc per la ex-Jugoslavia e il Ruanda, non guardava con sfavore alla creazione di una Corte penale internazionale che all’epoca era anche chiamata “permanente”. Il sottosegretario deputato a seguire la questione era John Howard Francis Shattuck, anch’egli con un passato all’ACLU.
I primi anni Novanta erano gli anni in cui gli slogan di trasnazionalizzazione del Partito Radicale diventarono campagne strutturate e, successivamente, vere e proprie associazioni “autonome ma non indipendenti” come soleva ripetere Marco Pannella. L’avanzamento del diritto penale internazionale era il core business di Non c'è Pace senza Giustizia che agiva perché i Tribunali ad hoc iniziassero finalmente a lavorare e si accelerasse il processo di creazione di quello che Pannella chiamava il “primo segmento di giurisdizione sovranazionale” - la Corte penale internazionale.

Fu proprio sulla necessità dell'istituzione di una Corte Penale Internazionale che Bonino e Neier costruirono un rapporto che, in pochissimo tempo, fece arrivare i primi finanziamenti dell’OSI a Non c'è pace senza giustizia. Per facilitare questo sostegno l’associazione si dette uno status legale negli Stati uniti e ottenere finanziamenti (esentasse) da cittadini e fondazioni USA. Fu dapprima incorporata nel District of Columbia e poi nello Stato di New York col nome di No Peace Without Justice.

Per statuto l’OSI non poteva finanziare partiti politici, donde i finanziamenti alle associazioni radicali, allo stesso tempo le fondazioni USA non possono dare soldi verso attività di lobby rivolte a qualsiasi assemblea legislativa o organo esecutivo.
Nell'agosto 2010, all’ottantesimo compleanno del suo fondatore, e a due anni dal crack finanziario, quello che era un “Institute” diventa una rete di fondazioni e il nome cambia in Open Society Foundations, anche per meglio riflettere il ruolo di finanziatore per gruppi della società civile in tutto il mondo.

Le Open Society Foundations, non fanno lobby al Congresso né altrove, hanno ‘funzionari’ o consulenti indipendenti (io lo sono stato in Italia per vari periodi dal 2015 al 2017 per questioni legate all’advocacy in materia di diritti dei migranti) che seguono i processi normativi, nazionali, regionali e internazionali e finanziano le attività di organizzazioni non governative che cercano di influenzare le politiche in determinati campi, ma non si interessano direttamente di far adottare leggi e/o di emendarle.

Alla fine del 2017 le dotazioni dell’Open Society Foundations sono di oltre $19,500.000.000, si tratta della terza fondazione privata al mondo dopo la Bill and Melinda Gates Foundation e il Wellcome Trust.

George Soros, a quota americana, è stato iscritto al Partito Radicale all’inizio degli anni Novanta e di recente assieme alla moglie Tamiko Bolton.

Dal 1996 al 2017, con fasi alterne e obiettivi diversi, l'OSI ha invece finanziato in maniera significativa prevalentemente le attività di NWPJ, dal 2002 il sostegno si è ampliato ad altre associazioni radicali come la Lega Internazionale Antiproibizionista, l’Associazione Luca Coscioni, il Centro d’Ascolto e Radicali Italiani. I grant, mai a fondo perduto, hanno riguardato la promozione del diritto penale internazionale, la messa al bando delle Mutilazioni genitali femminili, la mappatura delle violazioni del diritto umanitario internazionale in zone di conflitto, la lotta ai matrimoni forzati, la rappresentazione delle minoranze nei media italiani, la promozione di una riforma antiproibizionista delle convenzioni ONU in materia di sostanze stupefacenti, la cannabis terapeutica e la legalizzazione della cannabis in Italia.

Per quanto mi concerne, i progetti da me scritti, promossi o diretti dal 1996 ammontano a circa quattro milioni di dollari, tutti sempre regolarmente e trasparentemente rendicontati.
Pannella, che con Soros parlava in francese, richiedendo al secondo l’intervento di interpreti, ha sempre insistito perché non venissero presentati al finanziere filantropo progetti specifici: per Pannella il progetto a cui Soros doveva interessarsi, se non appassionarsi, era il Partito Radicale. Secondo Pannella qualcuno con la storia personale di Soros “poteva” - anzi “doveva” - arrivare a capirlo.

Per quanto ne sia ispiratore e finanziatore unico, il rapporto tra George Soros e l'Open Society si “limita” all’individuazione delle priorità e la ricerca del suo direttore e quella dei membri del board generale, tra questi da qualche anno c’è anche Emma Bonino, il board non un è da intendersi come un consiglio di amministrazione, piuttosto una sorta di comitato di saggi formato da esperti di vari temi tutti con competenze e sensibilità internazionali. Le decisioni sui finanziamenti vengono demandate ai vari dipartimenti che hanno una dotazione designata per il raggiungimento degli obiettivi prefissi dalla Fondazione. Per ottenere i soldi le ONG devono presentare progetti dettagliati e argomentati che devon esser nel solco della promozione di una società aperta, inclusiva e cosmopolita.
Dalla fine degli anni Novanta, su richiesta di Pannella, Soros ha anche prestato soldi per campagne elettorali - tutti puntualmente restituiti magari a tassi agevolati. I soldi non erano naturalmente prestati a Pannella ma all'Associazione Politica Nazionale Lista Marco Pannella. A mia conoscenza il primo prestito, di un milione e mezzo di dollari, avvenne nel 1999 per la campagna elettorale per le europee di quell’anno, l’anno in cui la lista Pannella cambiò denominazione sulla scheda chiamandosi Lista Emma Bonino.

Personalmente ho incontrato Soros due volte assieme a Emma Bonino la prima nel 2002 quando stavamo per rilanciare la Lega Internazionale Antiproibizionista la seconda per parlare più in generale di quello che il Partito Radicale faceva. Prima del secondo incontro sentii Pannella per telefono che mi suggerì di far notare a Soros che investire in nonviolenza in Italia poteva avere un senso visto che, grazie ai Radicali, come nel caso della legalizzazione del divorzio e ancora più dell’aborto, questa era riuscita là dove molte azioni politiche tradizionali non erano state efficaci. Per affrontare con dovizia di particolari certi argomenti occorrerebbe avere del tempo e un solo obiettivo, Soros ascoltò ma eravamo a pochi mesi dall’attacco USA in Iraq e la sua attenzione ad altro che non fosse quello era piuttosto limitata...

Nel 2012, dopo venti anni di onorato servizio, Christopher Stone, professore di diritto ad Harvard, ha sostituito Aryeh Neier alla presidenza 1993 al 2012. Nel 2016, l'OSF ha subito un cyberattacco e molti suoi documenti, ivi compresa la corrispondenza interna, son stati pubblicati da un sito Web. Da alcuni questo attacco è stato descritto come simile ai cyberattacchi russi collegati ad altre istituzioni, come il Democratic National Committee. Tra i documenti c’erano anche alcuni memo da me scritti negli anni in cui ho collaborato come consulente indipendente per OSF.
A cosa sono serviti i soldi che l’Open Society ha dato alle associazioni radicali? Per quanto mi riguarda, e per quel che ho visto accadere in questi 20 anni anche in operazioni in cui non ero direttamente coinvolto, quei soldi son sempre stati utilizzati per fare politica liberale radicale nazionale e transnazionale a tutto tondo. A volte con successi indiscutibili. Chi sostiene, o insinua, il contrario non sa di cosa parla o sposa le teorie di costruzione di fake news che, tra le altre cose, prevedono “George Soros” tra le parole chiave per far divenire sospetto chiunque vi sia affiliato.